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Ricordando Schuman, l’Europa ha bisogno di un’anima
Lungo il cammino in programma il 9 maggio le Chiese presenti a Milano mediteranno sull’idea feconda del politico francese che diede avvio al processo di integrazione e sul suo monito riguardo ciò che serviva per darle pieno compimento
di Edoardo ZIN Vicepresidente istituto “San Benedetto” dedicato a Robert Schuman
Giovedì 9 maggio i cristiani di tutte le Chiese presenti in Milano hanno percorso in silenzio il tragitto tra la Basilica di Sant’Eustorgio e la Basilica di San Lorenzo, meditando sulle parole che Robert Schuman, ministro degli Esteri francese, pronunciò lo stesso giorno e nella stessa ora davanti ai giornalisti di tutto il mondo convocati frettolosamente per ascoltare «un’importante dichiarazione».
«La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionati ai pericoli che la minacciano… L’Europa non è stata fatta: abbiamo avuto la guerra!». La voce monocorde, sgraziata di Schuman risuona nel salone del Ministero degli Esteri. L’uditorio si fa più attento quando il Ministro proclama che «il governo francese propone di mettere l’insieme della produzione franco-tedesca di carbone e acciaio sotto una Comune Autorità… La fusione delle produzioni di carbone e di acciaio assicurerà subito le basi comuni per lo sviluppo economico, prima tappa della federazione europea». Nasce la prima Comunità Europea, a cui seguiranno altre “realizzazioni concrete” che, attraverso progressi e involuzioni, porteranno negli anni all’attuale Unione Europea. 9 maggio 1950: nasce il processo di integrazione europea, l’idea politica più feconda del XX secolo. Alla prima Comunità aderiranno, oltre alla Francia e alla Germania occidentale di Adenauer, l’Italia di De Gasperi e i tre Paesi del Benelux. Non fa parte della “retorica europeista” affermare che il fine dell’Europa unita è assicurare una pace sicura e duratura. La sovra-nazionalità rappresenta l’espansione della cultura, storia e tradizioni del proprio Paese verso altre culture. L’Europa unita non è il rifiuto della propria identità, ma il suo ampliamento con l’incontro di altre culture che l’arricchiscono con la loro diversità. L’Europa non è solo un’entità economica: è soprattutto una comunità culturale e spirituale, di cui ha bisogno per essere costantemente sviluppata sul piano socio-politico. L’umile artigiano di pace Robert Schuman ha cercato di tradurre lo sguardo e la Parola di Dio nel suo tempo, ancora dominato dai rancori provocati dalla seconda guerra mondiale. Parafrasando il premio Nobel Nelly Sachs, possiamo dire che Schuman, rappresentante di un Paese vincente, è intervenuto nella notte «con la voce che incide ferite» dicendo al suo popolo cose spiacevoli – la riconciliazione con il nemico tedesco, chiedendogli perdono – e profetando un tempo di collaborazione e di pace. I popoli d’Europa gli hanno offerto «un orecchio come Patria, un orecchio non ostruito da ortiche». Il nuovo nome della pace è «solidarietà», che non è un semplice aiuto, ma sinonimo di unità, di “stare assieme” non nella massa, dove le persone non hanno voce, ma nella pasta per essere lievito che la fermenta, così come nel mondo di cui i cristiani sono l’anima. Un fido collaboratore di Robert Schuman nelle sue Memorie racconta che, al termine della dichiarazione, avviandosi verso l’uscita, il Ministro gli sussurrò all’orecchio: «E ora bisogna darle un’anima».
Nell’atmosfera del chiasso della società, le Chiese cristiane, assieme a tutti gli uomini di buona volontà, hanno camminato il 9 maggio scorso per le strade di Milano meditando, pregando, cantando per andare contro la paura, i pregiudizi e l’arroganza e per proporre all’Europa di salvaguardare sempre la pace nella concordia fra i Paesi membri, nella prosperità per creare solidarietà, nell’unità per superare discordie. Così come detta il Vangelo.
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