Ciascuno ha bisogno che qualcun altro si prenda cura di lui, che custodisca la sua vita dal male, dal bisogno, dalla solitudine, dalla disperazione. Questo è vero per tutti, ma riguarda in maniera particolare le categorie più deboli, che nella pandemia hanno sofferto di più.
Il nostro pensiero va innanzitutto alle nuove generazioni e agli anziani. Le prime, pur risultando tra quelle meno colpite dal virus, hanno subito importanti contraccolpi psicologici, con l’aumento esponenziale di diversi disturbi della crescita; molti adolescenti e giovani, inoltre, non riescono tuttora a guardare con fiducia al proprio futuro. Tra le persone anziane, vittime in gran numero del Covid-19, non poche si trovano ancora oggi in una condizione di solitudine e paura, faticando a ritrovare motivazioni ed energie per uscire di casa e ristabilire relazioni aperte con gli altri. Anche le fragilità sociali sono state acuite, con l’aumento delle famiglie in situazione di povertà assoluta, della disoccupazione e del precariato, della conflittualità domestica. In questo scenario “Il vero diritto da rivendicare è quello che ogni vita, terminale o nascente, sia adeguatamente custodita. Mettere termine a una esistenza non è mai una vittoria, né della democrazia: è quasi sempre il tragico esito di persone lasciate sole con i loro problemi e la loro disperazione”.
La risposta che ogni vita fragile silenziosamente sollecita è quella della custodia.
Come comunità cristiana facciamo continuamente l’esperienza che quando una persona è accolta, accompagnata, sostenuta, incoraggiata, ogni problema può essere superato o comunque fronteggiato con coraggio e speranza
(Consiglio episcopale Permanente CEI)
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